La dottoressa Maria Pina Pesce è consulente tecnico esterno del Dipartimento Tutela Vittime Fdl–AN di Roma, autore presso la casa editrice Maggioli Editore e presso la Rivista Internazionale di Arte e Cultura LE MUSE, coautore dell’ebook “Bullismo e Cyberbullismo. Analisi della casistica e metodi di prevenzione e tutela, dopo la Legge 29 maggio 2017, n. 71” ed esperto per i media nell’ambito dell’ideazione e creazione di format televisivi.
– Maria Pina Pesce, tu ti occupi, tra le altre cose, di psicoterapia e di psicogenesi inerente i disturbi alimentari. Quante persone incontri con questo tipo di problemi e da dove parti per riuscire a compenetrare in essi?
Il mio interesse per i disturbi di tipo alimentare nasce intorno ai 20 anni di età, in cui i miei studi di psicologia occupavano gran parte del mio tempo. Studiavo sul campo le problematiche legate al cibo, come volontaria all’Ospedale San Camillo – Forlanini di Roma, presso l’Unità Operativa di Dietologia e Nutrizione – Centro Multidisciplinare per la Diagnosi e Terapia della grave Obesità. Da giovane studentessa, mi rendevo sempre più conto dell’impatto psicofisico che le diete hanno sulle persone, del loro bisogno di essere visti, accolti, riconosciuti nel loro disagio, ma sopratutto della paura di cambiare ciò che permetteva di ottenere attenzione e amore. Arrivano da me dopo tanti e disperati tentativi di perdere peso attraverso diete “miracolose”, ma che inevitabilmente sono abbandonate o rimandate. Le motivazioni che portano a lasciare? diverse, e di natura quasi tutte, a mio avviso, psicologiche. Collaboro da anni con un endocrinologo con il quale costruiamo ad hoc percorsi medico – psicoterapeutici. Il ben 80% delle richieste che arrivano a studio sono di donne e uomini che mostrano grandi difficoltà nella gestione della propria alimentazione. Si rivolgono a noi persone che hanno provato tantissime diete, alcune assolutamente invasive e molto pericolose per l’ intero sistema della persona. Nella presa in incarico il primo screening a cui noi facciamo riferimento è di tipo medico in quanto È assolutamente necessario escludere patologie organiche che impediscono la perdita di peso, e che non faccia uso di farmaci/psicofarmaci che influiscono sui centri della fame. A screening completato, si procede con l’inizio vero e proprio del percorso terapeutico a carattere psicologico. Il percorso vede uno scavo metaforico nelle memorie della persona relativa al disturbo riportato. Molto spesso questo lavoro così delicato trova un terreno di difficile comprensione. Chi soffre di disturbi dell’alimentazione mette in atto, sovente, difese che ne impediscono la comprensione inducendo spesso creazioni di pregiudizi da parte di chi dovrebbe accogliere il paziente. La scissione operata, risulta difficile e fonte spesso di frustrazione in entrambi gli attori del percorso (paziente/terapeuta). Ciò che sottolineo nei miei vari interventi in sede di convegno o in radio , è di sospendere il giudizio. Può sembrare banale ma il giudizio spesso impedisce una elaborazione e una presa in incarico del paziente in modo autentico che porta inevitabilmente all’interruzione del percorso terapeutico. La terapia di questi pazienti non è semplice ma le basi accennate e da cui dobbiamo assolutamente partire sono fondamentali per la riuscita. Solo attraverso l’accettazione, la sospensione del giudizio e la capacità di sostenere i vari drop out (interruzione della terapia), che costellano la terapia si potrà arrivare alla costruzione dell’alleanza terapeutica e quindi alla costruzione della responsabilità, la vera chiave di svolta x il cambiamento. Il progetto “il cibo, il mio amante”, che vede la perdita di peso senza l’ausilio di diete, ha riscosso grande successo, in persone affette da obesità di primo grado, in quelle persone che avevano perso la speranza ti piacere e di piacersi, in quelle persone che finalmente libere dalle diete potevano riacquistare il loro peso senza soffrire. Per ulteriori approfondimenti vi rimando al mio sito mariapinapesce.wordpress.com, e al mio libro di prossima uscita che vedrà esposto al suo interno il mio progetto sui disturbi dell’alimentazione in cui le persone possono dimagrire senza ricorrere alle diete, divenendo responsabili del proprio personalissimo stile di alimentazione.
– Quali sono gli elementi su cui tu basi le tue diagnosi?
Quando parliamo di un disturbo a carattere psicologico e non psichiatrico non amo apporre diagnosi. L’etichetta della diagnosi blocca il processo terapeutico facendo spesso, leggere tutti i comportamenti e gli eventuali cambiamenti in una cornice che non rispecchia la persona, bensì rispetta i criteri di quella determinata diagnosi. La nostra mente è in continuo mutamento e quindi non classificabile o riducibile in una vera e propria diagnosi o definizione (fatta eccezione per malattie a carattere psichiatrico). Ciò premesso, il mio punto di partenza nella prendere in incarico un possibile futuro paziente è quello osservare la totalità della persona, osservare i molti aspetti che rendono quella persona unica, da quelli verbali a quelli non verbali, costruire insieme la sua storia emotiva, costruire la storia del suo disturbo, quello riportato in terapia. I Problemi riportati, la sintomatologia, la causa iniziale o l’evento scatenante, avvenimenti passati collegati al Problema, tutto concorre alla “costruzione” della presa in carico. Identificare l’evento cruciale collegato al problema è di fondamentale importanza nella concettualizzazione del caso. Capire il quadro clinico del paziente, la sua psicoeducazione, la sua educazione emotiva e soprattutto le aspettative sul trattamento che sono fondamentali per un buon percorso terapeutico.
– Il mondo di oggi è attraversato da una onda inarrestabile di odio e violenza. Secondo te da dove nasce tutto ciò?
La violenza e l’odio che la sottende sono diventati la modalità espressiva più in voga. Ragazzi adolescenti si relazionano spesso usando un linguaggio impositivo, atto ad incutere timore e riverenza nell’altro. I loro atteggiamenti sono sempre degli “agiti” per ottenere ricompense, e spesso le ricompense sono la sottomissione dell’altro. Questo atteggiamento è frutto di un’educazione emotiva carente, di modelli genitoriali non positivi, impegnati a loro volta a supplire la loro mancanza di affetto. I figli rappresentano la lente d’ingrandimento per le nostre fragilità di adulti emotivamente orfani.
– Ti chiedo una opinione sulle baby gang, dette così, ma io penso che siano adult gang in quanto commettono gravi reati che credo abbiano come base il bullismo di strada.
La psicologia dell’individuo è molto differente dalla psicologia del gruppo. Un individuo preso singolarmente seppur rabbioso e intenzionato ad arrecare danno ad un terzo difficilmente mette in atto un’azione aggressiva. Ma se quello stesso individuo lo mettiamo all’interno di un gruppo che condivide lo stesso sentimento di rabbia e aggressività a danno di un terzo l’azione si realizza. Il bullo ha bisogno di sostenitori, di coloro che giustificheranno e che sosterranno la sua azione. Finalmente il bullo attraverso il gruppo dei pari trova una sua collocazione e soprattutto una sua identità, accettata e riconosciuta. Nella strada realizza ciò che all’interno del suo stesso nucleo familiare non può realizzare, la frustrazione provata all’interno della propria famiglia trova la sua giusta collocazione al di fuori, usando il verbo con il quale spesso il bullo cresce, l’aggressività e la violenza. La mancanza di educazione emotiva, l’educazione ai sentimenti hanno prodotto una incapacità nel riconoscere l’altro come uguale a noi è quindi dotato di sentimenti ed emozioni. La capacità di riconoscere sentimenti dell’altro, ti mettersi nei panni dell’altro viene definita in psicologia empatia. Siamo di fronte ad una generazione che manca di educazione emotiva, siamo di fronte ad una generazione non empatica. Si dice che l’esempio sia il nostro migliore maestro, sono d’accordo. L’esempio dei bulli di strada è spesso costellato da genitori non epatici, abituati ad usare l’aggressività come linguaggio quotidiano, dove la prevaricazione e il vincere a tutti i costi è la base per una vita vincente. Dove le fragilità non vengono accettate ma anzi derise, non può che realizzarsi la cultura del più forte, di chi con la prepotenza ruba l’attenzione, l’ammirazione, l’emulazione diventando il nuovo super eroe che ha perso la sua principale vocazione, quella di salvare l’altro perché ne hanno acquistato un’altra, quella di distruggere l’altro semplicemente perché la sua presenza ci incute frustrazione o semplicemente per gioco perché ci si annoia.
– Bullismo e cyber bullismo sono gli argomenti di cui ti sei occupata nel manuale edito da Maggioli. Qual è il modo che si può insegnare ad un bullo per fargli capire i suoi errori che possono avere conseguenze gravissime sulle vittime ed ancora, quali difficoltà incontri in questo tipo di terapie?
Come già accennato nelle risposte precedenti credo che la difficoltà principale nella affrontare questo tipo di terapia sia proprio la mancanza di un terreno emotivo su cui intervenire. Spessissimo i ragazzi, hanno difficoltà nel riconoscere la gravità di alcune loro azioni, tanto da esporsi a sanzioni civili e penali anche molto gravi. Facilmente si scade in giudizio tout curt ritenendo questi ragazzi cattivi e quindi facilmente odiabili. I ragazzi non hanno la percezione della responsabilità in primis per la loro età. Difficilmente un ragazzo di sette/otto anni, anni in cui si affaccia l’ombra del bullismo, mostra una percezione responsabile delle proprie azioni o delle azioni degli altri, ciò a cui tende un bambino è la soddisfazione di un desiderio che può essere anche quello di fare del male. Ciò che è importante nella elaborazione di un evento traumatico per un bullizzato o per un bullo è quello di costruire una buona relazione di fiducia e di sospensione del giudizio, costruire l’educazione emotiva mancante, creare all’interno della scuola una dimensione di gruppo che favorisce l’identificazione e il riconoscimento dell’altro come uguale a sè. Gli Interventi organizzati per intervenire in situazioni di bullismo sono degli interventi creati ad hoc e non decontestualizzati. È fondamentale intervenire nel luogo devo il trauma si è generato. All’interno dell’Ebook troverete oltre alle linee guida per una buona presa in carico e le varie esperienze di recupero, tre questionari, uno di questi creati dalla sottoscritta. È dedicato ai ragazzi e soprattutto a capire con loro la loro opinione sull’aggressività, sulla rabbia, sulla capacità di gestire le frustrazioni, sulla loro capacità di gestire un “no”, su cosa pensano della fragilità, di un bambino in difficoltà, capire il rapporto con il dolore, con l’amore, con l’indifferenza. Cosa sentono quando sono di fronte a un bambino maltrattato quando picchiano o spingono un bambino a farsi del male. Le varie tecniche psicologiche usate da me con i ragazzi sono tecniche atte ad abbassare il livello di ansia, e a spostare il proprio punto di vista su se stessi e sulle proprie azioni, sviluppare l’auto osservazione carente nei bambini bulli. Troverete inoltre, le life skills, insegnate all’interno di questo percorso, serviranno come base positiva per crescere in modo più autentico e sereno ma soprattutto nel credere in se stessi, per ottenere ciò che si desidera senza la prevaricazione e manipolazione dell’altro.
– Esiste secondo te un sistema per spezzare questa spirale di violenza che attanaglia la società?
La mia opinione riguardo ai fenomeni di violenza, davanti ai quali noi tutti ci sentiamo indifesi, dovrebbe spingerci ad una riflessione, perché la violenza ci affascina così tanto? Il linguaggio della violenza è un linguaggio democratico nel senso che lo possono usare tutti dalla persona più mite alla persona notoriamente aggressiva ma in entrambi i casi regala sicurezza. Ed è proprio la sicurezza che viene cercata continuamente. In queste poche righe si evince che la nostra società è ferita da una grande mancanza, l’educazione ai sentimenti, l’educazione sentimentale, che ci rende però, necessariamente più fragili, più esposti ad essere feriti. Così si cerca di non prendere in considerazione la sfera emotiva nell’educare i propri figli, si insegna loro di essere forti, di raggiungere i propri scopi con ogni mezzo e se il proprio figlio risulta essere il più forte e il più bravo abbiamo in qualche modo realizzato il nostro obiettivo. In situazioni normali questi insegnamenti possono essere anche positivi ma in nuclei familiari emotivamente disfunzionali possono indurre a creare nei ragazzi una visione del mondo alterata. La mancanza di confronto emotivo con i propri genitori la mancanza di riconoscimento delle proprie fragilità creano nel bambino frustrazione, che lo porta a compensare la carica emotiva con atti più o meno aggressivi al di fuori, nel gruppo dei suoi pari. Se non vi è dialogo, incontro emotivo ma anche scontro con i propri genitori per conquistare la propria identità e la propria indipendenza i ragazzi si rifugiano in un “non luogo”, dove tutto è possibile, dove le proprie fantasie, le proprie frustrazioni, le proprie ferite d’amore trovano la loro massima espressione nel rendere l’altro il nostro “schiavo”. Siamo in un’ epoca super digitalizzata, la quale ci permette di creare una dimensione “altra”, dove attraverso la tastiera possiamo decidere di essere “altro” e in casi gravi, decidere per la vita di qualcun’altro, distruggerne l’identità, rendere la sua vita non più accettabile. I cyber bulli sono il risultato di un’educazione fallace e di un esempio non sufficientemente buono che preso a prestito in negativo crea un’altra vita, una vita migliore di quella vissuta. La vicinanza autentica dei genitori, o di chi si prende cura di loro è fondamentale per “creare ” dei ragazzi oggi e degli adulti domani, in grado di vivere la loro vita al meglio. Siamo esseri umani e quindi fallibili ma ciò non deve farci indietreggiare di fronte alla responsabilità di cercare di essere il più possibile un buon esempio per i nostri figli. Riconoscere insieme ai nostri figli le nostre fragilità, i nostri dubbi, non ci renderà meno “importanti” ai loro occhi, anzi, servirà loro ad abbassare l’ansia del confronto di fronte a modelli irraggiungibili, rendendoli adulti equilibrati.