Un lavoro dall’espressività incandescente, tra melodia e elettronica, che lega in un nodo inestricabile amore e rabbia, sofferenza e inno alla vita. “Iniziali” è l’EP di Giovanni Luca Valea.
di Carmen Sartori

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Chiunque si interroghi sullo stato della canzone d’autore in Italia, dovrebbe, prima dell’autocommiserante refrain sull’assenza totale di voci-in senso lato- meritevoli di attenzione, ascoltare “Iniziali” del giovane cantautore e poeta toscano Giovanni Luca Valea.
Senti come siamo eterni, oggi, scrive Giovanni Luca in “Una rosa al padrone” (PSEditore, 2021), e quell’oggi sembra rompere – e insieme amplificare- il sentimento di una temporalità illimitata.
Le antinomie, più apparenti che reali, appaiono percorrere anche “Iniziali” (distribuito da La Stanza Nascosta Records), che riesce a far coabitare dimensione privata e finalismo universale, simbolismo e realismo.
Anche sulla fruizione del disco pesa un interrogativo: si tratta di un disco elitario o di un disco per molti? La qualità che fa dire di molti lavori “è un disco di nicchia” si sposa in questo caso ad una particolare esuberanza, una vocazione alla trasversalità che ci sembra inarginabile.
Quel che è certo è che- su tutto- si staglia una vocalità volutamente imperfetta, che per intenzione sembra ricordare, talvolta, il primo Battisti; l’imperfezione diventa marchio autoriale, simbolo di appartenenza, rivendicazione forte di un sottotesto ideologico.
Basso, pianoforte, synth, chitarre elettriche e programmazione archi sono state curate dal produttore Salvatore Papotto, che ha coadiuvato Valea anche negli arrangiamenti, dagli echi vagamente radioheadiani.
Baudelariano nel perpetuo combattimento tra spleen et idèal, Valea coltiva l’irriducibile sogno della bellezza poetica e ci regala con “Iniziali” la sua imprecazione, cesellata nel diamante (così il critico Emilio Praga definì I fiori del male); un lavoro dall’espressività incandescente, tra melodia e elettronica, che lega in un nodo inestricabile amore e rabbia, sofferenza e inno alla vita.