Habemus Gubernum

di Marco Marchesini

Potrebbe essere una dichiarazione stridente per alle orecchie dei più superstiziosi (ed è perfettamente comprensibile, in certi casi, affidarsi ciecamente alla fortuna), ma se non ci saranno altre sorprese, oggi alle 16.00 il professor Giuseppe Conte darà formalmente vita al nuovo governo. Finalmente una buona notizia che forse riuscirà a calmare gli animi (e soprattutto i mercati). Dopo settimane di peripezie e incomprensioni degne di una farsesca commedia shakespeariana, si formerà un governo politico, espressione della volontà del popolo che il 4 marzo si espresse forte e chiara. Il “governo del cambiamento”, sancito da un “contratto”, l’inizio della “terza Repubblica”: le aspettative sono altissime. Ma rallentiamo un momento e cerchiamo di capire cosa è successo facendo un rapido excursus di ciò che è successo dal giorno del voto fino ad oggi.

 Il 4 marzo 2018 si è votato, e già nella notte gli exit poll hanno descritto uno sconvolgimento nella geografia politica del paese (che abbiamo analizzato qui) , che vedevano un sorprendente risultato di Lega e MoVimento 5 Stelle. L’accordo sembrava scontato e anzi forse la decisione più giusta da prendere: sicché nessun partito o coalizione è riuscito a raggiungere il 40% dei voti necessari a “governare da soli”, un accordo era quello che ci voleva per dare al paese il legittimo governo che gli spetta. Un governo politico che rispecchia le volontà del popolo italiano, anche se questa volontà dovesse essere spartita tra due elettorati diversi. Subito abbiamo visto alleggerirsi i toni, le posizioni più radicali si sono ammorbidite: Europa o non Europa, migranti sì migranti no, non inciucio ma contratto, e via dicendo. Vi era solo un ostacolo, una ben nota figura che di nuovo cercava di mettersi di traverso per assicurarsi anche lui la sua fetta di torta: Silvio Berlusconi, formalmente leader della coalizione di centrodestra, non ci sta con i 5 Stelle. Guai a Salvini qualora pensasse di staccarsi dall’alleanza. Ma, forse in seguito alle pressioni del paese che esigeva un governo eletto almeno dal 2011, o forse perché la buona notizia arrivata dalla Corte di Strasburgo lo ha messo di buon umore, l’ex cavaliere dà finalmente il suo lasciapassare (seppur con qualche riserva) a Matteo Salvini, che immediatamente si mette all’opera con Luigi Di Maio per stilare i principi di questa alleanza, pardon, di questo “contratto di governo”. Passano giorni di intenso lavoro: riunioni fino a tarda sera con i leader, i capigruppo e i dirigenti, tweet che constatano il buon lavoro, foto di sguardi che rappresentano al meglio la massima concentrazione che tutti stanno dedicando al progetto. È tutto pronto: il premier sarà “un amico del popolo”, il celeberrimo e stimatissimo dal popolo Italiano Giuseppe Conte, professore universitario. Sorgono inizialmente dei dubbi sul suo curriculum, ma l’Italia vuole dargli fiducia, perché in fondo si sa che è un brav’uomo. Pronti, via ed è subito crisi: il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella non condivide il nome di Paolo Savona al ministero dell’economia per via delle sue idee anti Euro e specialmente anti Germania. Pertanto, dacché né Salvini né Di Maio hanno accettato di scambiare il suo nome con quello di qualcun altro (un Giorgetti, ad esempio), impuntandosi capricciosamente sull’ennesimo compromesso, il Presidente ha deciso di mettere in pratica uno dei suoi poteri che legittimamente gli concede la Costituzione e vanifica tutti gli ardui sforzi dei leader che tanto si erano impegnati nella formazione del governo ideale. È caos, ma soprattutto furia: Di Maio invoca l’articolo 90 e Giorgia Meloni gli fa da eco chiedendo l’impeachment (che in Italia, però, ha ben poco senso). “Manifestazione il 2 giugno”, dichiara il leader pentastellato, proprio lo stesso giorno della festa della Repubblica, richiedendo la “messa in stato d’accusa” (quindi il termine in Italiano esiste!) del Presidente. “Appendete il tricolore al balcone”, perché il Presidente Mattarella non può fare quello che ha fatto, non può esercitare i suoi poteri che gli dona la costituzione, è anticostituzionale, prosegue il capo politico a cinque stelle. Seguono incertezze, i mercati si spaventano, lo spread sale e Mattarella decide di incaricare Carlo Cottarelli per un governo tecnico che possa scortare il paese fino a nuove elezioni. Pronti, via, ed è subito colpo di scena: “va bene, se Savona non lo vuole all’economia lo mettiamo agli affari UE. Meglio così?”: è la proposta dalla dirigenza gialloverde. Il Presidente ci pensa e infine acconsente. Cottarelli ringrazia e lascia spazio al grande amico del popolo italiano.

Ed eccoci dunque ad oggi. Quello che troviamo è un governo nato dopo un lunghissimo travaglio fatto di accordi, programmi, toni alti o smorzati e sicuramente ambizioso. “Governo del cambiamento”, “terza Repubblica”: sono sicuramente degli epiteti che il premier Conte (o Salvini o Di Maio, o chiunque sia incaricato a decidere, non è chiarissimo) dovrà concretizzare. Molte le aspirazioni, molta l’aspettativa, che questo nuovo governo – si dice uno dei più giovani di sempre – cercherà di realizzare senza deludere nessuno. Molte cose sono già cambiate e, sperando che la sua problematica nascita che ha travolto nel suo turbinio persino le più alte istituzioni con i suoi toni sempre alti e esagerati non sia un cattivo presagio, rimettendoci alla determinazione che i leader hanno mostrato, aspettiamo di vedere cosa ci riserverà, per poi decidere se ne abbiamo goduto o sofferto.

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