Non più il dibattito sui contenuti, sulle proposte, sui modi, sulle manovre; bensì l’insulto, la derisione e la supponenza. Non si è in grado di gestire e accettare l’esistenza di qualcosa che ci si oppone. I nostri dubbi, ma anche i nostri valori e le nostre consapevolezze, sono sfruttate e manipolate da chi sembra darci finalmente risposte, soluzioni e voce ai nostri problemi.
Seguendo gli ultimi sviluppi politici e sociali, per quanto se ne sente in televisione, si legge sui giornali o su Twitter (divenuta ormai piattaforma di riferimento per ogni tipo di commento o messaggio propagandistico), risulta davvero complicato non accorgersi del brusco abbassamento che hanno subito la lingua e i comportamenti istituzionali, politici e di rappresentanza. Rea forse di voler arrivare direttamente all’elettore, di voler semplificare ogni tipo di faccenda tecnica e macchinosa per renderla di facile fruizione, di voler apparire come politico del popolo, vicino alla gente e al loro mondo, la bassezza volgare che osserviamo in quasi ogni tipo di rapporto istituzionale, costituisce una delle pagine peggio scritte di questa stagione politica. Stiamo assistendo ad alcuni importanti slittamenti (verso il basso) che riguardano la concezione di alcuni ruoli e atteggiamenti che costituiscono il panorama sociopolitico di un Paese.
Dall’elettore al fan
Impostando ogni scontro tra partiti (siano essi italiani o europei) come un gioco, come una partita da vincere contro un avversario cattivo, lo schieramento politico rasenta sempre più la fede calcistica, la fedeltà al gruppo musicale preferito, dove il conflitto avviene non solo tra i membri della band-partito, ma anche tra i fan, tra i tifosi che non ammettono critiche ai loro idoli e che ne assumono atteggiamenti e linguaggi. Personalmente, ho sempre trovato inquietante come gli slogan della politica finiscano in bocca alle persone che tentano, con queste formule semplici e riassuntive, di giustificare i loro atti o pensieri del tutto devianti. (Mi riferisco ad un episodio, non sporadico a quanto pare, di una signora di Roma che, nel quartiere San Lorenzo, dopo il triste episodio che coinvolse la giovane Desirée, quindi in un momento di altissima tensione, aveva aggredito verbalmente – e ci è mancato poco che non le si scagliasse contro – un’ambulante nera intimandola di andarsene dal paese e ripetendo a gran voce “prima gli Italiani! Prima gli Italiani!”, come se volesse giustificare quel suo atto scabroso).
Dallo scontro istituzionale al bullismo
Causa prima della trasformazione dell’elettore a fan/tifoso è il tono che hanno assunto gli scontri tra partiti, finanche allo scontro tra presidenti e istituzioni europee. Non più il dibattito sui contenuti, sulle proposte, sui modi, sulle manovre; bensì l’insulto, la derisione e la supponenza. Luogo prediletto di questi scontri sembra esser diventato Twitter, il social che per eccellenza è dalla parte del popolo, delle persone qualunque e dunque luogo dove, più di ogni altro, si sedimenta il consenso della propria fan base. E se l’elettore si è trasformato in un ammiratore sfegatato che non permette a nessuno attaccare il proprio beniamino, e se il politico-frontman, che è in grado di influenzare i loro gusti e le loro opinioni, deride chi è contro di lui, come potranno reagire i fan? Saranno sempre e ciecamente dalla sua parte, pronto a difenderlo dalle insidie delle opposizioni che lo vogliono rovesciare e quindi rovesciare i desideri del popolo e questo non può essere permesso. Si arriva quindi all’estremizzazione di questo comportamento, che rasenta veramente il bullismo: ho un gruppo di persone alle mie spalle che mi segue ciecamente (o per mera convenienza), esercito un potere attrattivo su di loro, sono il loro capo, li guido e li influenzo ed esercito questo potere per deridere e prendere in giro (con il supporto dei miei seguaci) chi osa non essere d’accordo con me. Personalmente, di nuovo, trovo inquietante l’atteggiamento che consiste nel dare letteralmente in pasto ai propri elettori-fan-seguaci giovani contestatori che democraticamente esprimono un’opinione contraria e giustamente si oppongono a determinate misure; credo che questo atteggiamento celi una forte insicurezza, poiché non si è in grado di gestire e accettare l’esistenza di qualcosa che ci si oppone.
Dal complesso al facile
I contenuti della politica sono complessi, articolati, spesso contraddittori e non sempre riusciamo ad entrare nell’ottica di questi processi, che per la maggior parte conosciamo solo quando li subiamo o comunque li viviamo dall’esterno. Lo stesso vale per l’economia, per le infrastrutture, per il lavoro, per lo sviluppo e quant’altro. Sono innumerevoli gli aspetti complessi e difficili che disseminano la politica. Ma la tendenza che si è assunta è sempre più quella che vuole semplificare ogni cosa per renderla accessibile, invece che fornire al singolo delle minime capacità per comprendere quanto serve. “Te lo spiego io” al posto del “Ti insegno come si fa a capirlo”. È più semplice, è più immediato, non servono spiegazioni e ci si può persuadere facilmente: ecco perché conviene e perché questa tecnica viene così ampiamente usata. Ma a che prezzo? L’ignoranza perpetua del singolo, e l’alimentazione della falsissima convinzione che tutto possa essere facile e alla portata di ognuno.
Dall’intelligenza alla pancia
Dunque, a che serve riflettere, informarsi, studiare, quando ogni problema può facilmente e velocemente essere risolto? La politica è sempre stata, prima di tutto, ricerca del consenso. Senza non si può fare nulla. Il problema che sembra esserci, però, è quello dell’esclusiva e interminabile ricerca e fabbricazione del consenso che non passa mai ai fatti. Se è vero che la politica è ormai scontro tra fan e band diverse (un po’ come l’eterna querelle tra Beatles e Rolling Stones) questo non si può che creare facendo appello alla parte emozionale dell’elettore, la sua cosiddetta “pancia”, i suoi umori e i suoi interessi così effimeri e volatili, ma anche violenti e ciechi. Non più con la testa, ma con la pancia si vota.
Dagli argomenti agli slogan
Somma massima delle banalizzazioni, lo slogan è lo strumento per eccellenza della politica “populista”, che arriva senza fronzoli né complicazioni al singolo, che riesce immediatamente a inquadrare problema e soluzione. Viene così abolita la difficoltà, i dilemmi macchinosi, le questioni delicate, in favore di una semplice e ritmata dichiarazione che riassume tutto e niente in poche battute. Problemi complessi richiedono soluzioni complesse: si può sbrogliare, semplificare come fanno molti divulgatori scientifici (come fanno da anni gli Angela con Superquark o Ulisse) ma è un vero insulto rendere banale questioni importanti, complesse e delicate, con l’illusoria spavalderia di possedere una soluzione a portata di mano.
Dalla convivenza alla fine del rispetto
Le istituzioni democratiche esistono finché esistono le opposizioni. È una conditio sine qua non della democrazia, la libera e costante opposizione a quello che è un governo attuale, quella che da voce all’altra parte della popolazione che non si rispecchia in quello che è stato scelto dalla maggioranza. Ad oggi, la politica sembra non guardare più in faccia a nessuno, perché chiunque osa mettere bocca sull’operato del governo, è un nemico di tutto il popolo, e quindi il politico-frontman non esita a scagliarsi con i soliti toni altissimi e supponenti, da bullo, senza alcun rispetto, che si tratti di istruzioni internazionali, membri del partito di opposizione o addirittura presidenti di altri Paesi. L’opposto non è tollerato, ma degno di scherno perché considerato insignificante, che non può permettersi di andare contro il popolo che si rappresenta. Ma questa non è che l’ennesima semplificazione di chi vuole tutti dalla sua parte.
Il ritorno della politica fra la gente, fra le persone, è senza dubbio un’ottima cosa: la politica è rappresentanza, e per rappresentare, la politica deve conoscere ed esplorare la vita reale che tenterà poi di amministrare. Ma questo che viviamo non è che un illusorio avvicinamento, un orecchio sordo che si tende verso di noi, che sfrutta i nostri umori e i nostri dubbi come un aliante sfrutta le correnti dei venti che gli permettono di volare. È un doppio gioco a cui, forse anche inconsapevolmente, contribuiamo noi stessi: le nostre paure, i nostri dubbi, ma anche i nostri valori e le nostre consapevolezze, sono sfruttate e manipolate da chi sembra darci finalmente risposte, soluzioni e voce ai nostri problemi. Ma è solo con la conoscenza, solo studiando e informandosi il più possibile (e dunque faticando!) che possiamo svincolarci da questo gioco perverso, che mira solo a piacere, a fabbricare consenso e nient’altro, allo stesso modo di quei gruppi musicali che studiano melodie e testi pop, che sfornano hit che sicuramente piaceranno perché semplici e dirette. Ed è inquietante notare come da questa fabbrica di consenso non venga escluso nulla, nemmeno le vite umane: tutto fa brodo, tutto è buono per accaparrare qualche elettore-fan in più, ogni vicenda, persino efferata, ogni virgola che possa scuotere l’opinione pubblica, viene subito assaltata da questi maestri degli umori del popolo che forniscono solo le risposte più semplici che esistano e che sono quelle che vorremmo sempre sentire, ma che non corrispondo mai alla vera soluzione, alla vera realtà dei fatti. È un duro quanto necessario esercizio di libertà: bisogna esercitare sempre la propria cultura, il proprio senso critico e la propria sconfinata (oggi più che mai) libertà di informazione.