C’è una scatola magica dove nude, confondiamo le lacrime con l’acqua
Esiste un posto formidabile, intimo, che diventa il confessionale di ogni donna. Lo abbiamo tutte. Non magari ad uso esclusivo, ma per tutte ha la stessa funzione.
Un posto dove veniamo accolte appena sveglie, o dopo una lunga giornata di lavoro. Solo lo specchio ci vede e non commenta come siamo ma ci dà il responso, in visione e dimensione reale, di come siamo. A volte, per quanto intraprendenti sembriamo, la nostra immagine riflessa, è sempre imperfetta.
Qui ci facciamo belle, litighiamo con la nostra immagine, ci spogliamo, ci rilassiamo, cantiamo anche.
Possiamo stare al buio. Possiamo accendere una candela solo per noi.
Poi c’è una scatola magica in questo posto dove nude, confondiamo le lacrime con l’acqua, dove singhiozziamo e mute, soffocando ogni giornata disperante, ci sfoghiamo. Il rumore dell’acqua sicuramente ovatterà i nostri mugolii o singhiozzi. Qui siamo completamente nude per ritornare in noi. Nude per riprendere lo spazio nella pelle senza filtri
Appoggiamo la testa alle mattonelle. Porgiamo il viso all’acqua cascante che un po’ ci ricorda che siamo presenti a noi stesse ed un po’ ci aiuta a ripulire, come atto psicomagico, quello che stiamo pensando o vivendo.
Il rimmel cola sul viso e gli occhi, non preventivamente struccati, diventano quelli di un clown. Rivoli neri e macchie nere orribili che delineano palesamene quello che abbiamo dentro.
Volgarmente chiamato “bagno”, ci ficchiamo qui dentro. Chiudiamo a chiave la porta per delimitare il confine tra noi ed il mondo esterno che rimane fuori. Tutto il mondo fuori da quella porta. A volte accendiamo la luce, altre è sufficiente quella che entra dalla finestra, e se fosse buio fuori sarebbe sufficiente quella dei lampioni esterni, o per essere più romantici,se fosse, quella della luna.
In “bagno” ci aspetta la nostra doccia o la nostra allettante vasca: un calderone d’acqua dove immergere quello che siamo e quello che non siamo.
Se davvero siamo esauste non ci portiamo il cellulare con noi, o forse anche si, ma lo mettiamo in silenzioso oppure facciamo partire la nostra play list e ci iniziamo ad ammorbidire con la musica che ci piace.
Qui facciamo i conti con noi stesse, preghiamo. Svuotiamo ogni dubbio, vomitiamo tutti i perché.
Siamo consapevoli che nessuno ci sente, ci ascolta o ci darà risposta.
Siamo consapevoli che siamo forti e che,uscite dal bagno, indosseremo ancora la nostra maschera di bronzo, ma per poco abbiamo bisogno di essere noi stesse nel nostro pieno diritto di cedere se ne sentiamo il bisogno.
Sotto la doccia l’eco del “Panta rei”, tutto scorre, quanto vorremmo fosse vero ed immediato!
Oppure ci lasciamo decantare nel calore dell’acqua della vasca abbondantemente carica di schiuma profumata che copre qualche imperfezione, perché a volte ci imbarazziamo per i nostri difetti anche da sole.
Altre volte cerchiamo il piacere in piena autogestione, nei casi migliori sappiamo accarezzarci con più dedizione, e quanto vorremmo che il nostro uomo ci sapesse accarezzare con tutta quella dolcezza o sapienza che ci mettiamo noi…!
Io sono tutta la mia pelle! Ma l’essere maschile è più distratto meno sensitivo e più diretto.
Non dico che noi donne non lo siamo, anzi, ma abbiamo quel bisogno di sentirci tutte considerate, tutte eccitate, non solo tra le gambe. E questo noi lo sappiamo bene.
Abbiamo bisogno di essere baciate, sfiorate, ovunque.
Siamo complicate e per questo spesso incomprese.
Basterebbe che ci osservassero di più o magari essere spiate attraverso la serratura della porta di un bagno, vorremmo, dentro di noi, essere guardate con pazienza e curiosità proprio per scoprirci; come sa fare l’occhio sacro di un regista: osservare e saper riprendere cosa avviene dietro quella porta, dettaglio dopo dettaglio, con precise inquadrature.
Poi però chi ci ha spiato dovrebbe fare un balzo all’indietro quando sente schioccare la serratura che si apre, restare in piena indifferenza anche se ha partecipato ad un pezzo speciale, unico della vita di una donna e lasciarle, da “gentlemen”, l’illusione che non è stata vista e mai lo sarà e mai lo saprà.