“La verità sulla Dolce Vita”, la bellezza mortale e immortale di un capolavoro italiano

È partito da Napoli il tour de “La verità sulla Dolce Vita”, un documentario innestato su un vero e proprio racconto di fiction, ben interpretato da Luigi Petrucci, sulla genesi, sulla creazione e i postumi del capolavoro felliniano.

di Renato Aiello

Giuseppe Petrucci

È partito da Napoli la settimana scorsa il tour nei cinema, previsto per tutta Italia, della docufiction di Giuseppe Pedersoli sul film italiano più conosciuto all’estero, ovvero La dolce vita di Federico Fellini.

La verità sulla Dolce Vita, già reduce dalla settantasettesima Mostra internazionale del Cinema di Venezia in anteprima assoluta, è infatti un documentario innestato su un vero e proprio racconto di fiction, ben interpretato da Luigi Petrucci, sulla genesi, sulla creazione e i postumi del capolavoro felliniano.

Petrucci è infatti il protagonista assoluto di questa narrazione, ovvero quel Giuseppe Amato, produttore del film insieme a Rizzoli, a cui si deve la mise en scene e la distribuzione mondiale della Dolce Vita.

Pellicola discussa, osannata e anche ridimensionata da alcuni critici negli apprezzamenti generali (il capolavoro assoluto di Fellini, ripetutamente nella classifica dei migliori film di tutta la Storia del Cinema mondiale, è 8 e ½ ), tacciata di immoralità e scandalo quando invece, secondo gli aneddoti, si deve la sua produzione all’illuminazione anche religiosa di Amato: produttore devoto a Padre Pio e soprattutto innamoratissimo della Settima Arte, fin da piccolo, come mostrato in una delle scene più belle del documentario di Pedersoli.

Nipote dello stesso Amato e per lungo tempo a discreta conoscenza dei segreti sulla realizzazione della Dolce Vita, Giuseppe Pedersoli (che è figlio d’arte oltre che nipote, il compianto Bud Spencer era il suo papà) finalmente ha restituito sul grande schermo e al pubblico tutti i documenti, le lettere, i telegrammi e i risvolti più divertenti e inediti, se non proprio sconosciuti, dei rapporti intercorsi tra lo stesso Amato e Federico Fellini, nonché con Angelo Rizzoli.

Un tempo in cui fare Cinema significava davvero farlo con la c maiuscola, in quella che era un’industria assolutamente artigianale, non strutturata come la francese sicuramente, ma dotata forse di più amore e di un fuoco sacro che dagli autori ai produttori non risparmiava nessuno.

Amato fu il primo a riconoscere in quel copione ricevuto, rifiutato da Dino De Laurentiis all’epoca, il germe di novità e il superamento del neorealismo italiano, folgorato dai passaggi più famosi come quello dei paparazzi a via Veneto (ricostruita in studio e pianeggiante rispetto alla pendenza naturale della nota arteria capitolina), o della mitica fontana col bagno notturno, sognante, leggendario di Anita Ekberg e Mastroianni.

Il mitico Marcello doveva essere interpretato dal solito divo americano ma una felice intuizione dirottò il ruolo verso l’attore feticcio di Fellini, perfetto nei panni del giornalista mondano e perditempo.

La sceneggiatura lunghissima, la durata iniziale di oltre 3 ore e i costi esorbitanti prospettati, che crebbero ancor di più, rendendolo di fatto il film italiano più costoso mai realizzato fino ad allora, procurarono non pochi grattacapi al produttore napoletano.

Delusioni personali e professionali, soprattutto col collega coproduttore milanese Rizzoli, e lo stress derivante dal lavoro con un genio difficile e poco gestibile come il regista già premio Oscar per La Strada e Le notti di Cabiria, gli causarono infatti ben due infarti, di cui il secondo tragicamente fatale.

La bellezza immortale delle opere d’arte, anche cinematografiche, diviene talvolta anche mortale e La Dolce Vita non è che uno dei tanti esempi al Cinema, come fu qualche decennio dopo Apocalypse Now per Francis Ford Coppola e per il suo protagonista Martin Sheen.

La verità sulla Dolce Vita è un documentario-fiction importante e necessario nell’anno dei centenari di Alberto Sordi e Federico Fellini: per risollevarsi e riprendere a correre dopo il covid abbiamo sempre più bisogno di guardare al nostro glorioso passato, non scevro di difficoltà come l’uscita dal secondo conflitto mondiale di quel dopoguerra, ma pieno di ispirazione e incoraggiamento per una nuova rinascita del nostro paese, e di un settore, quello dello spettacolo, messo a dura prova dalla pandemia.