“Lettere e persone, smarrite”. Intervista a Paolo Tricoli

di Daniela Merola

Funzionario direttivo di un ente pubblico ora in pensione Paolo Tricoli, napoletano trapiantato a Rovereto, ha incontrato la scrittura a 64 anni. Nel 2014 pubblica il suo primo romanzo “Informazioni sulla vita e  sulla morte del povero Vincenzo”, edito da New Book edizioni, casa editrice di Rovereto. Napoletano dalla verve ironica e pungente ha avuto un ottimo riscontro con il primo romanzo. Dal 2015 è anche editor per la casa editrice New Book, il cui Direttore è Alessandro Benedetti. Nel novembre 2016 ha pubblicato il secondo libro, “Lettere e persone, smarrite” che è già stato presentato a Rovereto dal Prof. Marco Dallari, docente di pedagogia generale all’Università di Trento e a Napoli, di recente, presso la libreria Raffaello dalla giornalista Anna Copertino.

– Paolo Tricoli, un uomo dalla personalità prorompente e simpatica, che ha incontrato tardi, ma per me non è mai troppo tardi, la scrittura. Come è avvenuto l’incontro?

Per caso, come talvolta avviene. Nella mia vita lavorativa mi è capitato di scrivere solo lunghe e noiosissime lettere alla mia Direzione Generale, talvolta, temo, neanche lette dai destinatari. Per questo motivo ero molto restio a cimentarmi nella narrativa, sebbene più volte sollecitato da qualche amico. Il perché di questi incoraggiamenti è dovuto forse alle mie radici napoletane. Infatti facendo leva su di esse ho propinato, ai molti amici trentini e ad alcuni infiltrati residenti nella bella terra che mi ospita da ormai 40 anni, diverse storie  e aneddoti  sulla mia città di nascita, sulle abitudini, sui vizi e sulle virtù dei suoi abitanti. Il tutto condito da celebri canzoni napoletane da me maltrattate, complici le mie approssimative conoscenze musicali. Queste narrazioni hanno affascinato un nutrito uditorio. Molti addirittura si sono decisi al lungo viaggio nelle terre di Partenope per vedere da vicino i luoghi da me descritti. Per alcuni ho preparato delle mini guide turistiche, in rapporto ai giorni di permanenza, sui luoghi principali meritevoli di essere visitati (tra cui anche pizzerie e ristoranti). Tra queste persone una cara amica la prof.ssa Donata Loss, donna di politica e di cultura, già vicesindaco di Rovereto, mi ha tallonato per molti anni perché scrivessi qualcosa. Per accontentarla nell’ottobre del 2014 ho scritto per gioco in 54 giorni un giallo ambientato a Napoli ad uso e consumo suo personale. Tuttavia la prof. mi aveva tenuto all’oscuro del fatto che lei fosse editor di una piccola casa editrice di Rovereto, la New Book di Alessandro Benedetti e, poiché come è notorio, da cosa nasce cosa, eccomi qua a farmi intervistare da lei.

– Hai incontrato tante persone di spessore come Isabella Bossi Fedrigotti, grande scrittrice, Samuele Ciambriello, sociologo e Garante dei detenuti a Napoli, Enrica Amaturo, Direttrice del Dipartimento di scienza sociali dell’Università Federico II di Napoli, Alessandro Benedetti, Direttore della casa editrice New Book che pubblica i tuoi libri. Queste persone ti hanno ispirato e motivato ad andare avanti con la scrittura. Quali punti della tua anima hanno stimolato?

Isabella Bossi Fedrigotti è una grande narratrice della “famiglia”, ovviamente di quella trentina o comunque a nord del Po, piuttosto diversa da quella napoletana ma pur sempre famiglia.Dunque con lo scrivere nei miei libri di fratelli sorelle mogli mariti figli in qualche maniera le ho reso omaggio pur consapevole della distanza che mi separa da un Premio Campiello. Il fatto che persone come lei, come Samuele Ciambriello e come Enrica Amaturo abbiano ritenuto la mia opera degna del loro interesse tanto da prestarsi senza incertezza a presentarla in pubblico è stato veramente motivo di grande orgoglio e stimolo per continuare. Ho scoperto grazie a loro che forse avevo qualcosa da dire e di poterlo dire con le parole giuste. Ed è proprio questa voglia di scoprire cosa sono in grado di esprimere che alimenta la mia curiosità, guardo me stesso narratore attraverso il buco della serratura della mia penna (o meglio del mio computer), nel momento in cui mi renderò conto di non vedere niente o di vedere sempre le stesse cose, smetterò, prima di perdere tutti i miei lettori e i miei amici perché ad entrambi tengo molto.

– Parliamo di “Lettere e persone, smarrite”, un titolo di grande ispirazione che ha come copertina le poste centrali di Napoli e che hanno a che vedere con la storia del romanzo. Come è nata l’idea che ti ha spinto a scrivere questa storia ambientata a Napoli e che inizia quando siamo alla fine del 1999 e con l’approssimarsi del 2000 chissà quali cambiamenti sarebbero avvenuti.

Essendo uno scrittore “giovane” devo confessare l’anomalia del mio modo di procedere quando mi metto all’opera: io non ho mai una storia predeterminata in testa, a me piace la parte del burattinaio che improvvisa. Scrivere è certamente un ritorno all’infanzia, all’età in cui maggiormente esercitiamo la fantasia, creando sul momento storie con le quali “ci” intratteniamo. Proprio nel rispetto di questo piacere ho sempre lasciato che le vicende e i personaggi venissero da sé, si sviluppassero passo dopo passo in un grande esercizio di libertà, almeno all’inizio. E già perché poi subentra la “fatica” della coerenza, perché i personaggi e le storie pretendono il rispetto dello scrittore  e a quel punto diventa un inventare non più libero ma sottoposto alle leggi della “loro” verità. L’anno 1999 l’ho scelto come simbolo di un momento sospeso dell’umanità. Chi è vecchio come me ne ha vissuto forse solo un altro in qualche misura paragonabile ad esso: quello della crisi di Cuba quando davvero il mondo sembrò sull’orlo di una guerra nucleare devastante. Nel 1999 una paura analoga serpeggiò: si temeva che i computer di tutto il pianeta, dai quali dipendeva e dipende ormai la sopravvivenza dell’umanità intera, potessero “rifiutare” il cambio radicale dell’anno, in quanto riguardava anche la prima cifra delle quattro, con tutta una serie di conseguenze terribili e irrefrenabili. Era un timore ingiustificato  (e la storia ce l’ha dimostrato), ma del senno di poi ne son piene le fosse. Dunque così come quel passaggio aleggiò gravosamente sulle nostre esistenze, uno strano e imprevedibile avvenimento, se si vuole anche banale, mette a repentaglio la storia di una mite e ordinata famiglia napoletana che rischia di deflagrare davanti ad esso.

L’imponderabile, il destino sono il leit motiv di questa storia che parla della famiglia Palmieri, una storia familiare molto intensa. Quanto tu credi all’imprevisto della vita e ai casi del destino che si intersecano poi in un nuovo assetto?

Il fatto che io a 64 anni mi sia messo a scrivere un libro e a continuarne a scrivere mi sembra la più coerente testimonianza di quanto io “debba” credere al caso. Personalmente ho sempre creduto nel determinismo, nel fatto che ognuno sia costruttore e custode del proprio destino, però, come diceva Flaiano, non sempre condivido le mie opinioni. E questa è una di quelle volte. D’altronde se non fossi nato in quella città…se fossi andato a quell’appuntamento…se avessi fatto l’avvocato…chi non può fare a se stesso domande simili? Le lettera che è la protagonista del mio “Lettere e persone, smarrite”, rimasta nascosta per 40 anni chissà dove e che viene rinvenuta per caso, mezzo rovinata, addosso ad un uomo sconosciuto provoca proprio una serie di domande e di dubbi nei personaggi del libro: ma chi era dunque mio padre? E mia madre? C’erano forse fatti oscuri da coprire nella nostra famiglia? Quali avvenimenti sono stati taciuti per salvaguardarne la sopravvivenza ? Basta un pezzo di carta stropicciata a ribaltare la storia di quel gruppo di persone in cui tutti avevano creduto o avevano voluto credere fino a quel momento?

– La storia si svolge anche a Roma, ma è Napoli lo scenario dell’ambientazione. Mi descrivi la città con due aggettivi, tu che la vivi da lontano e quindi puoi percepirla con maggiore nitidezza?

Due sono veramente uno schiaffo alla sua grandezza. Se proprio devo scegliere direi: prevedibile e imprevedibile. Per me che ne vivo lontano da 40 anni mi appare prevedibile nel senso che mi pare che sia immutabile eppure so che la realtà è molto diversa in quanto è una città che non sta mai ferma, è una città che restando uguale a se stessa è la sola città in perenne rivoluzione. E’ una città che quando la percorri ti costringe a salire e scendere continuamente proprio come di terra magmatica, acquosa e ondeggiante, dunque, imprevedibile.

– Una curiosità che mi è piaciuta molto è il ruolo delle tazzine da caffè nelle dinamiche della narrazione di “Lettere e persone, smarrite”. Dimmi un po’ di questa curiosità.

E’ vero, il libro è dedicato ai fratelli, alle sorelle e, per gioco, alle tazze di caffè. Queste ultime in effetti pur non essendo esseri umani partecipano intensamente, visceralmente alla vita delle persone, ne sono parte attiva con le loro tante sfaccettature che mi sono divertito a inserire 14 volte nel libro:

  • Il caffè come  occasione di socializzazione tra amici e colleghi di lavoro.
  • Il primo caffè della mattina quello indispensabile del risveglio.
  • Il caffè come medicina  tonificante.
  • Il caffè nelle riunioni familiari come bevanda assemblatrice e calmieratrice degli umori.
  • Il caffè come capro espiatorio, con cui arrabbiarsi per il cattivo dormire, quando le ragioni sono ben altre.
  • Il caffè preso la mattina da soli: strumento di meditazione e di autocoscienza.
  • Il caffè per concentrarsi e ricordare.
  • Il caffè al bar, quello delle chiacchiere futili.
  • Il caffè per non pensare ai guai.
  • Il caffè chic quello preso nelle case dei signori su vassoi d’argento di due kg e le tazzine. dipinte a mano che si teme di rovinare solo girando il cucchiaino.
  • Il caffè per non perdere il filo del discorso.
  • Il caffè della rinascita, del punto e a capo.
  • Il caffè per rilassarsi, magari anche prima di andare a dormire a dispetto della caffeina.

Infine faccio dire a uno dei protagonisti (non napoletano):- Il caffè in questa città è come la pioggia nei film americani, quando si vuole creare un diversivo, si vuole voltare pagina, i registi fanno venire giù una pioggia quasi sempre torrenziale. Dopo, il film cambia tono e in genere la scena successiva sia apre con una giornata di sole. E così quando c’è qualche ostacolo, qualche fatica da superare, voi ve la sbrigate col caffè e date una scossa alla vita. Buttando giù quel liquido scuro, inghiottite le avversità e siete pronti a ripartire, siete un popolo più saggio di quanto si creda.

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