Alla nostra epoca sembra mancare una componente fondamentale che è importante non solo per alimentare quel sentimento di curiosità e scoperta che mai dovrebbe abbandonarci dacché siamo bambini, ma lo è anche per tutti quei sentimenti tipici dell’età adulta che perdiamo poi nel tempo: è la capacità di sorprendersi. Più si va avanti, più se ne vedono e sentono, e meno ci sorprendiamo e ci lasciamo scivolare addosso notizie, scandali e assurdità di ogni genere. Pare che questo processo di decadimento, questo incallimento della capacità di essere sorpresi, abbia avuto un’accelerazione incredibile e ci riguardi fin da giovanissimi. Siamo, lo si è detto spessissimo, bombardati da una quantità di informazioni come non ne abbiamo mai conosciuto prima, se ne sentono e vedono da ogni angolo della Terra e solo di rado, quando qualcosa sembra toccarci da vicino, allora accenniamo una smorfia, rimaniamo perplessi, ne parliamo al bar con gli amici, e poi ce ne scordiamo. Fatichiamo ancora a trovare un modo per gestire questa mole incalcolabile di informazioni senza che tutte scadano inevitabilmente nell’oblio dove, come in un ciclo edipico, l’evento successivo uccide il precedente annullando ogni sentimento ad esso correlato. Cosa ci rimane davvero impresso? Cos’è che davvero non possiamo dimenticare perché ci ha sorpresi a tal punto che quel fatto, quella parola, quel gesto, diventi per noi simbolico di un problema, di un sogno, di una tragedia? La capacità di sorprendersi è in grande competizione con la straordinaria abilità dell’uomo ad abituarsi. Ed è vero che siamo capaci di abituarci a tutto. Chi ricorda in quale paese europeo è avvenuto l’ultimo attentato ricollegabile all’ISIS? Quante persone sono morte? Oppure, chi si ricorda che un folle (o un genio, un sognatore) ha spedito la sua macchina nello spazio, che in questo istante ancora vaga lassù, e progetta di approdare su Marte entro qualche anno? Nessuno ricorda come eravamo sorpresi e pieni di speranza, lì per lì, oppure come eravamo terrorizzati e pietrificati difronte a tanta violenza?
Ecco il grande pericolo che ci attanaglia e che rischia di trascinarci nell’indifferenza che ci fa inconsapevolmente accettare ogni cosa, ponendole tutte allo stesso livello. La mole di assurdità di cui fin dall’inizio abbiamo sentito o visto, ci hanno sorpreso tante di quelle volte in maniera così effimera che finalmente ci abbiamo fatto il callo. Quindi cosa accadrebbe se uscisse fuori l’ennesimo scheletro dall’armadio di Trump? Abituati ai suoi toni sempre alti e supponenti probabilmente scuoteremmo il capo e passeremmo alla notizia successiva. Cosa succederebbe se il Ministro dell’Interno Italiano facesse l’ennesima dichiarazione shock, annunciando censimenti mirati verso una specifica etnia di cui purtroppo “alcuni tocca tenerseli”? È il modo di fare politica che possiede e con cui ha ”vinto” le elezioni, non c’è niente di nuovo o sconvolgente; forse dovremmo smettere di criticare ogni cosa è lasciarlo fare. Ed ecco che così non solo non ci si sorprende più, ma si entra in quel circolo vizioso, dove si inizia a demonizzare l’indignazione e lo sconvolgimento, si inizia a considerare sintomo di qualità il numero di critiche ricevute – come sulla falsa riga del “molto nemici molto onore” – si inizia a odiare ogni odiatore, indirizzandosi ad essi come ”intellettuali” di cui non abbiamo bisogno, come fosse una dichiarazione del fatto che non ci servi più la cultura, ma ci basti la pancia per essere un paese. Si finisce per placare la propria indignazione per paura di essere etichettati come dei “lamentoni” oppure dei “rosiconi”, incagliandoci sulla nostra volontà di ben apparire ed essere accettati, invece di alimentare quella capacità indurita e mal funzionante che altri non è che la nostra necessità di sorprendersi.