Quando qualcosa non va, parlane!

di Francesca Pegozzo

Quando qualcosa non va nella tua vita, non è una sciocchezza. Qualsiasi cosa possa essere rimetti in circolo l’energia delle emozioni che comprimi. Emozione significa ex-moveo, muovo fuori, porto fuori. L’emozione è uno stato rivoluzionario del cervello e coinvolge la psiche, il fisico e l’anima.

Se  cerchiamo di controllare le nostre emozioni parte del sistema nervoso si “surriscalda”, allora quell’emozione, ciò che corrisponde a quello che sentiamo incontenibilmente ma imprigionato dalla forte volontà di non trasmetterlo, si manifesta nel soma, nel corpo, e nella postura e addirittura nelle espressioni. Questo accade perché se non ci fosse uno scarico, il nostro sistema biologico nervoso ci porterebbe ad uno stato di continuo svenimento, sarebbe l’unico modo per gestire tale situazione di compressione.

Non è possibile mentire senza crearsi dei “disagi”. Specialmente mentire a se stessi. Avviene anche che, invece, diventiamo abili nel farlo.

Non vogliamo vedere la realtà dei fatti. Non vogliamo ascoltarci, non sappiamo farlo, non siamo stati educati a farlo. Sentiamo di non poter meritare o vantare il diritto di essere o avere ciò che desideriamo. Così le emozioni implodono in noi, creando malattie, e disguidi di salute cronici ( psico-somatica).

Come avviene il processo di “Non ascolto?” Si archiviano i traumi nella cosiddetta “scatola nera” o meglio definibile inconscio. Non possiamo gestire tutte le informazioni a livello conscio e vigile. La scatola nera immagazzina ciò che non ci serve o ciò che ci spaventa, a volte accade in modo disordinato.

Si può interagire con l’inconscio? Si, si può.

La struttura preventiva della scatola nera è proprio quella di mantenerci garantiti. E sono del parere che quando è utile ricordare qualcosa man mano affiorerà alla superficie, un po’ come nella cottura degli gnocchi che quando sono pronti galleggiano.

Operando nelle tenebre protettive dell’inconscio, ho capito che i primi passi da fare sono quelli di creare una sicurezza interiore nel trattare i propri demoni interiori, le più grandi paure che minacciano la nostra vita che in realtà sono delle allucinazioni assurde: non sono oggettive ma soggettive. Possono essere proiezioni, possono essere richiami di traumi passati. Quello che ci terrorizza di più è rivivere una situazione interiore di solitudine, esclusione, smarrimento ed incapacità e sofferenza.

Spesso non vogliamo essere pronti a guardare in faccia il nostro nemico, così quelle emozioni funzionali ad un piano di sicurezza generale del nostro micromondo, si trattengono.

Le emozioni disarmoniche, ciò che ci fanno provare e sentire, trovano un percorso preciso e si installano nel fisico: il corpo attutisce ciò che crea la mente e ciò che la nostra incapacità comunicativa trattiene, se non lo facesse moriremmo subito. La malattia funziona nello stesso modo: ci consegna dei segnali forti e ci spiega che in relazione alla patologia la nostra anima vuole esprimere qualcosa, che il nostro cuore ha avuto una ferita, una mancanza grave, almeno così recepita.

Quando senti che nella tua vita qualcosa non va apriti a qualcuno, possa essere un operatore del settore, un amico, una persona di immensa fiducia, ma apriti. Ti permetterà di vedere la tua situazione attraverso altre prospettive. Dai voce ai tuoi sentimenti e alle tue disarmonie che depositano nuvoloni neri sul tuo bellissimo cielo azzurro. Quando richiedi presenza per te a qualcuno specifica che lo fai perché non stai bene.

E’ difficile mostrarsi fragili e vulnerabili, biologicamente un animale vulnerabile è esposto alla morte. Noi abbiamo un sistema biologico animale in dotazione.

Tutto esiste per tenerti nella sopravvivenza, ma chi come me ha attuato dei processi di comprensione, si vuole portare ad un diritto di esistenza ben più ampio che una sopravvivenza.

Ho studiato e sto studiando molto le ferite emotive. Ferire significa abbattere con il ferro.

Ricordo in una consulenza una cliente che ribadiva il fatto che si sentiva abbandonata da un’amica che era andata in vacanza con un’altra persona e non con lei, ma che forse sarebbe stato più grave se l’abbandono gliel’avesse fatto risentire il marito. E’ assolutamente errata questa convinzione.

Il comune denominatore è l’abbandono (in questo caso) che si provi con un amico, un conoscente, un cliente o un genitore non fa differenza. Sempre abbandonati ci sentiamo.

Tutto sta ad osservarci ed ad avere quella minima capacità di non sentirci tanto coinvolti in quello che ci accade, ma di osservarlo e comprendere in realtà quando è stata la prima volta che ci siamo sentiti, sempre in questo caso, abbandonati.

Il nostro cervello registra e crea un programma che influisce nella nostra vita, la gestisce e che ripete all’infinito finché non comprendiamo il perché di certe situazioni. La ferita è un congelamento emotivo.

Comprendere il quadro generale della ferita significa riportare il clima favorevole dentro di noi, liberarci, riscaldare il cuore. Uscire da un isolamento.

In più abbiamo in dotazione i programmi genetici nel DNA, non solo l’archivio è nell’inconscio, ma anche nelle cellule.

Come riuscire a comprendere? Osservando le dinamiche senza accusare chi ne è coinvolto.

Ricercare in noi l’origine di quell’emozione tanto dolorosa e rivedere la matrice generatrice. Essere imparziali, non stare soltanto dalla nostra parte.

Comprendere non significa giustificare! Comprendere significa riuscire a dare un senso intelligente e logico a ciò che abbiamo vissuto: chiediamoci a che cosa ci è servito. Chiediamoci che qualità abbiamo sviluppato grazie a quel vissuto.

Questo lo chiamo lavoro su se stessi per star meglio. Non è semplice, ma ironicamente ripeto ai miei clienti che se fosse stato semplice l’avremmo chiamato “Viaggio alle Maldive” ( magari ne diventerà la conseguenza).

Ed un’altra cosa ribadisco: Difficile non significa impossibile. Buon ascolto interiore.

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