RE. TE. Festival, “I  nomi di un gioco”

Cosa succede quando due giovanissimi avvocati si  scontrano con le storie di chi la Storia l’ha fatta? Il 5 e il 6 luglio nell’ambito di RE. TE. Festival “I nomi di un gioco”. 

RE. TE. Festival, “I  nomi di un gioco”
RE. TE. Festival, “I  nomi di un gioco”

Comunicato – Lunedi 5 e martedì 6 luglio, alle ore 21:00, presso il Complesso del Seraphicum di Roma, con lo spettacolo “I  nomi di un gioco” prosegue la rassegna teatrale “RE. TE. Festival”, giunta alla sua seconda edizione. Floriana  Corlito, Giorgia Pozzi ed Alessio Droghini, diretti da Alessandro Calamunci Manitta, portano in scena un testo  di Carolina Sacconi. 

La Storia è un fatto e un fatto è un dato oggettivo, ma cosa succede quando due giovanissimi avvocati si  scontrano con le storie di chi la Storia l’ha fatta? Giulia e Francesco accettano di difendere Rosy. La storia di  sua nonna, una staffetta partigiana, è stata rubata da un noto scrittore che l’ha inserita nel proprio libro e l’ha  resa universale. La storia, la memoria, i ricordi di una ragazza che a soli 17 anni ha fatto la resistenza ci  pongono una domanda: il 1945 ed il 2021 sono davvero così distanti? 

Lo spettacolo nasce da un incontro con una donna straordinaria, una partigiana classe 1927. Siamo stati subito  colpiti dalla sua grande forza che ci ha spinto a chiederle di poter scrivere uno spettacolo proprio su quella  storia, la sua, che senza sosta continua a raccontare. Come poter restituire quello che i racconti di questa donna  sono stati per noi? Ci siamo accorti che conoscere la Storia non significa solamente impararne le date, ma  empatizzare con essa ci aiuta a comprenderne il significato più profondo. Entrare a contatto con le  testimonianze di chi la Storia l’ha costruita con la propria vita, ci aiuta ad avere una consapevolezza diversa  dei tempi moderni. 

Dalle note di regia di Alessandro Calamunci Manitta: “Lo spettacolo si muove su due binari temporali  differenti: da una parte, siamo nel 2021 all’interno di uno studio legale capitolino; dall’altra, siamo immersi  nel pieno della Resistenza. A muovere i fili narrativi è una causa intentata dalla nipote di una partigiana nei  confronti di un noto scrittore, accusato di aver pubblicato un libro contenente aneddoti e storie vissute e  raccontate da nonna Rosa nel suo diario. I tre attori nel presente vestono rispettivamente i panni di una giovane avvocatessa, di un praticante dello studio legale e della cliente. Per quanto concerne, invece, la sfera  del passato sono costretti a repentini cambi di personaggio che consentono di avere un ventaglio di storie  ampio e variegato. Ecco allora che entriamo in contatto con tanti personaggi, che raccontano le loro fragilità,  i loro desideri e le loro paure, rifugiandosi dietro a dei nomi di battaglia. Ecco così Cocò, Nina, Libero,  Carmen e la nostra Rosa che sceglie di farsi chiamare Tina. “È che abbiamo i nomi di un gioco e ci  confondono”. I costumi e le luci, oltre a scandire i passaggi temporali, sono utili agli attori per effettuare  quella metamorfosi che il testo richiede. Molto spesso però, saranno piccoli elementi a distinguere un 

personaggio dall’altro e quindi il resto del lavoro è affidato all’attrice o all’attore che dovrà essere abile a  trasformarsi dall’interno. La scenografia, piena di fogli e di libri ha pochi elementi ed è all’apparenza asettica,  ma vuole sottolineare la traccia che la Resistenza deve continuare a lasciare nel nostro Paese. Ad ogni  ingresso dei personaggi, questi portano in scena altri faldoni, che riducono lo spazio utile ai movimenti e  simboleggiano il peso della storia, di quelle storie che non sono solo oggettive.” 

“I nomi di un gioco” è un’esigenza: l’esigenza di raccontare la Storia per conoscere meglio noi stessi.