Il regista newyorkese torna con Rifkin’s Festival, la sua consueta commedia brillante e sofisticata, dal sapore agrodolce e con mille citazioni della Storia del Cinema, da Quarto Potere a Fellini, da Bergman a fino a Truffaut e Bunuel.

di Renato Aiello
Nell’anno del sofisticatissimo “Mank” di David Fincher, dedicato allo sceneggiatore di Quarto Potere, Woody Allen ci regala l’ennesima commedia brillante condita con quel pizzico di agrodolce, tipico delle sue pellicole, e con una corposa serie di citazioni cinefile da Storia del Cinema.
Complice la bellissima fotografia del premio Oscar italiano Vittorio Storaro, in Rifkin’s Festival le immagini vivide e a colori della città di San Sebastian (dove si svolge il festival del film e in cui si muovono i protagonisti) dialogano benissimo col bianco e nero della citazione di Rosabella di “Citizen Kane”, la slitta Rosebud che diventa Rosebudnick, o con lo spirito felliniano di Otto e Mezzo, passando per la Nouvelle Vague tra Godard e Truffaut, fino a “Persona” di Bergman e al leggendario “Settimo Sigillo”.
La Morte giocatrice a scacchi interpretata dal premio Oscar Christopher Waltz, attore feticcio di Quentin Tarantino, non si dimentica facilmente. Un vero fasto per gli occhi e per il cuore di chi ama la Settima Arte.
Nella ridente e amena cittadina spagnola di San Sebastian si svolge una kermesse di cinema d’autore cui prendono parte il critico Mort Rifkin (alter ego di Allen, come d’abitudine) e la moglie, addetta stampa di un regista francese di successo e belloccio (Louis Garrel, lanciato da Bertolucci in “The Dreamers”). Lo scrittore, ipocondriaco e logorroico, conosce nelle pause tra una conferenza stampa e una première la bella dottoressa spagnola Joanna (Elena Anaya, scoperta nella “Pelle che abito” di Almodovar), con cui trascorrerà dei giorni felici e spensierati, persino rocamboleschi (vedi il folle marito artista della donna iberica). I sospetti sulla liaison della moglie col giovane francese si riveleranno non tanto infondati, e lo scambio virtuale di coppie lascia inizialmente presagire sviluppi che poi saranno disattesi dal finale leggermente amaro.
Lo stile di Allen però è presente in ogni inquadratura, in ogni dialogo della sceneggiatura, e seppur non risplenda come nei suoi migliori film (mancano sussulti o svolte epifaniche, anzi la prevedibilità prevale), è sempre un piacere assistere a una sua opera, imperdibile specialmente quando si avventura in territorio europeo.
L’unico rammarico è che, tra i vari film girati in Francia, Regno Unito e Spagna, il più insignificante sia stato “To Rome with Love”, la puntata italiana del suo tour tra le capitali europee. Persino San Sebastian, dopo la Barcellona di “Vicky Cristina”, non sfigura e non delude, a differenza della Roma da luoghi comuni e cliché degni di un cinepanettone radical chic del film girato in Italia con Benigni e Alessandra Mastronardi.