Chi spreca il suo tempo e chi di tempo proprio non ne ha, chi prende con leggerezza la propria esistenza, come quella degli altri. Potremmo presentarlo così “Il trucco di Moliére” di Stefano Labbia (Black Robot Publishing). Un’opera definita sagace, pungente e ben strutturata.

Comunicato – Storie folli. Autentiche. Da cardiopalma. Intessute di personaggi non reali, frutto della fantasia. Loro però la vita sì che la conoscono- o almeno così credono. Ipersensibilità, perplessità, domande che non hanno risposta e risposte che non hanno domande. A voler continuare: tempeste, povertà, floridezza, virtù d’animo (nonché di denaro), calma e violenza, opposti che si attraggono. Edifici crollati e ricostruiti senza l’ausilio delle macchine, sui loro stessi rottami. Non pensate crolleranno di lì a poco? E poi morti senza spiegazione, genio e follia, codardia e rettitudine. Chi spreca il suo tempo e chi di tempo proprio non ne ha, chi prende con leggerezza la propria esistenza, come quella degli altri. Vi sembra forse poco per avere un’idea de “Il trucco di Moliére”?
Note di Emanuela Manfredi – Stefano Labbia, classe 1984, torna con una nuova opera sagace, pungente e ben costruita. Si sente pulsante tra le righe tutto il suo candore di uomo vissuto con trentatre rughe sul viso e qualcuna di più sul cuore… Eppure… eppure Stefano non ce lo fa mai pesare. Non ci fa mai pesare della nostra “umana condizione”. Anzi! Con i suoi scritti ci invita a riacquistare la calma e la sanità mentale di un tempo… perché la sua analisi dei (tanti) vizi e delle (poche) virtù di noi italiani del 2000 sono lì, in queste 100 e poco più pagine. Violente. Suadenti. Atte non a deridere o a umiliare… ma che fungono da testamento. Da mini “Bibbia” per chi quegli atteggiamenti vuole evitarli. Per chi vuole tornare ad essere umano. Per chi si guarda allo specchio e vede solo la sua ombra. Sbiadita. Confusa. Distorta. E per chi non sa più sognare… Un piccolo grande capolavoro, questo “Il trucco di Moliére” che meriterebbe di essere letto nelle scuole – magari nelle Superiori? Si, dannazione. Non è mai troppo tardi per cambiare china. Per cambiare la propria vita. E quella di chi ci sta attorno. Labbia lo sa. E ce lo dice. Ce lo serve in punta di penna. Senza acredine. Senza livore. Sanguigno e vero. Come sempre.
Le storie di Stefano Labbia sono fatte di scenari aridi e frenetici, di nichilismo e di una umanità di pietra. Le anime che vi trovano voce sono perse e rabbiose eppure non sempre rassegnate perché, anche se non lo danno a vedere, sanno che questo non è il migliore dei mondi possibili.
Quasi un novello Charles Bukowski, Labbia – senza alcol, droghe e compagnia bella s’intende. Ma così puro e “violento” al tempo stesso da somigliargli narrativamente parlando. E non si sa quanto ci ami o quanto possa a malapena sopportarle queste idiosincrasie, queste assurdità contemporanee, l’autore, se ce le propone nel menù del giorno. Baci (spesso rubati), abbracci, schiaffi, calci, pugni, pacche sulle spalle: in questa raccolta c’è tutto. Ma non c’è il contrario di tutto: Labbia è pericolosamente coerente a se stesso. Alla sua visione dei fatti che, ahimé, non è per nulla soggettiva ma bensì oggettiva. Senza malizia. Senza tracotanza. Senza mezzi termini. È tutto lì, nero su bianco. E noi, analfabeti del cuore come siamo, sapremo cogliere tra le righe la sofferenza, l’inquietudine, l’allegria, la gioia e… beh, tutto il resto?
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