StrongFirst®, Vladimiro Righetto e la forza come primo comandamento

di Francesca Pegozzo

Vladimiro Righetto

Ti sei mai chiesto realmente chi sono le persone che incontri negli uffici, nei negozi, chi è dietro a una scrivania magari vestito con giacca e cravatta? Chiaramente ne notiamo l’educazione, la gentilezza la simpatia anche o l’esatto opposto. Probabilmente anche loro, comuni mortali, hanno i loro disagi nella vita e questo si riflette nella loro professione.

Noi, però, intransigenti  nel servizio, facciamo fatica a fare un sorriso di abbondante comprensione, e nella totale pretesa (spesso giusta) ci arriva alla mente quella frase del mitico Totò “ ..E io pago!” C’è chi, nonostante un ambiente poco consono ai propri sogni nel cassetto, gode di una sua genuinità ed è sempre disponibile con i clienti.

Vladimiro Righetto ( amichevolmente Vlady) è un ragazzo di 37 anni della città di Padova, occhi grandi scuri, viso buono, incorniciato dalla sua barba scura, fisico atletico evidenziato specialmente nello sviluppo della muscolatura degli arti inferiori, e “dipinto” in varie parti del corpo da tatuaggi accattivanti. È una persona straordinariamente determinata che ha dato e sta dando tutto se stesso per superare i suoi limiti attraverso lo sport. Lavora in banca, dietro uno sportello a contatto con il pubblico, sempre gentile per indole personale, indipendentemente dal lavoro che fa.

È un velocista. Utilizza una bicicletta con dei rapporti fenomenali ( 48/17 per strada, e in uso attuale da 58/12 a 61/12 per chi se ne possa intendere): con una prima pedalata arriva a fare 6 metri, e supera anche i dieci metri. Sì, con una pedalata, a seconda chiaramente dei rapporti che utilizza. Le gambe, il suo principale motore,  lo stanno portando a sfiorare i 70 km/h utilizzando una bicicletta. Pensandoci settanta chilometri orari sono il limite di velocità in certe tangenziali! Chiaramente raggiunti con un’automobile.

Mentre mi parla i suoi occhi sono spesso fissi sulle sue mani appoggiate al tavolo, come se ripercorresse ogni momento sulla bicicletta, ogni limite superato ed ogni sconforto che spesso può raggiungere chi fa questo sport.

Un velocista gode di un equilibrio molto precario: la preparazione per raggiungere certi risultati è strutturata da sacrifici ed impegno. Sacrifici che diventano una quotidianità dall’alimentazione all’allenamento costante.I risultati che ottiene nelle gare a cui partecipa sono coordinati da tantissime variabili: l’alimentazione, l’ossigenazione, l’allenamento in palestra, conoscere il velodromo, il pavimento del velodromo, il vento, il caldo, il freddo, l’umidità. Questi son tutti fattori che rendono l’atleta teso, nervoso, agitato e quando Vlady dà il suo massimo, utilizza questo stress scaricandolo nella potenza delle sue gambe.

Non crede ancora in se stesso completamente, come la sua coach, ma crede nel suo potenziale e prestanza fisica. Ama la sfida con se stesso specialmente, ama sentirsi il padrone del suo corpo, lo conosce perfettamente.  È da sei anni circa che ha questa passione.

– Vlady come sei arrivato fino a qui?

“Il ciclismo classico è appassionante ma noioso per me, condurre una bicicletta e portarla al massimo del suo potenziale della velocità, raggiungibile grazie solo alle spinte iniziali delle mie gambe, portarmi al massimo, è eccitante, galvanizzante. Quando sento il mio corpo che sta dando il massimo, quando sento “urlare i miei muscoli” sento di essere forte, voglio avere quella sensazione di invincibilità”.

–  Ci sono state volte che avresti mollato?

“Sono molto critico con me stesso ho sempre cercato di dare il meglio, a volte la frustrazione nel non raggiungere esattamente quello che mi sono prefissato,  mi demotiva, ma non ho mai mollato, no. In fine ho sempre cercato di capire cosa avessi sbagliato o cosa non avesse funzionato”.

– Non ti sei mai tirato indietro nemmeno quando ci sono state delle problematiche oggettive quindi fisiche?

“Ho dovuto fermarmi solo quando ho avuto una bruttissima caduta ed il fisico e la salute precaria conseguente a quell’incidente mentre correvo, non mi hanno permesso di continuare per un periodo soltanto, se penso che chi fa questo sport ha fatto degli incidenti invalidanti in modo permanente, affiora la paura e un po’ di incertezza, ma questo non mi ferma a mettere le ali in pista. La stanchezza, i dolori muscolari, l’irritabilità e lo stress non mi hanno mai fermato. Il corpo non è abituato a dare tutto in pochissimo tempo, è uno sforzo innaturale,la mia preparazione, da autodidatta perché  sento e capisco in primis  solo io il mio fisico, mi avvicina  spesso al raggiungimento del mio obiettivo”.

Forza, potenza e velocità sono tutte caratteristiche primordiali, primitive. Il carattere di Valdimiro è un pò così, semplice, essenziale, pulito. Più lo ascolto più percepisco  che esprime se stesso attraverso questo sport. Ironia della sorte il significato del suo nome è Illustre per la sua potenza”, quasi come fosse un marchio di fabbrica del quale non potrà rinunciare, perché lui è nel divenire di questo.

Mi racconta che il decorso pre- velocismo gli ha fatto sperimentare delle grandi ingiustizie. Gli inizi della sua carriera partono dal nuoto, era piccolo, era nell’agonismo elementare, ma anche lì puntava a vincere, sorridendo mi spiega che vincere lo fa sentire forte, migliore, lo fa sentire riconosciuto ed è un sistema infallibile per auto-riconoscersi. Concluso il ciclo del nuoto s’interessa al calcio e davvero anche qui dà il meglio di sé, ma nel calcio..

– Che cos’è successo nel calcio?

“La mia carriera calcistica dipendeva dalle decisioni di altri non sempre corrette, anche se dimostravo di essere bravo, efficace, per una questione di – comodi- -raccomandazioni o meno- senza scrupoli sono stato messo in disparte, nell’ingiustizia effettiva, quel senso di sconfitta interiore lo si sente sempre, anche se non dipendeva da me, l’efficacia delle mie prestazioni esisteva in piena ovvietà, ma non mi ha portato da nessuna parte. Sconfitto ho sentito di rinunciare a quel mondo”.

Così Vlady si direziona verso l’allenamento in palestra. Chiaramente afferma che la preparazione nella pesistica  porta a non avere relazioni con nessuno, tutto dipende da se stessi. In poco tempo struttura il suo corpo, lo immortala in foto da bravo e soddisfatto narciso, il suo corpo è prestante, ma non è esibizionista, vuole sfruttare questa preparazione per tradurla in qualcosa di tangibile: vincere attraverso la forza e la potenza personale.

Non è una questione solo di fisico e prestanza, è una questione di credere in se stessi, specialmente arrivati ad un certo punto.

La curiosità l’ha portato a crearsi, costruirsi, una bicicletta adatta a sé, da solo: ha tolto i freni, messo il pignone fisso, per poi cavalcarla e mettersi alla prova ogni giorno.

Erroneamente è stato spinto dalla visione di un film dal titolo “Senza freni”. Senza freni in questo caso significa affidamento totale alla propria direzione e alla capacità di stare sempre in equilibrio alla massima velocità.

La forza fisica è in stretta relazione con la forza personale e con la determinazione, e gli ingredienti che compongono questa miscela sono la dedizione, l’impegno, la presenza, l’auto-controllo e la disciplina. Abbracciare questo sport e renderlo pane quotidiano fa star bene Vlady, gli permette di migliorarsi sempre ed arricchirsi di informazioni di fisica, di biologia.

Ritornando al suo carattere determinato si arrabbia spesso, a lavoro nel suo servizio col pubblico è accomodante, ma con se stesso mai. Fa fatica ad accettare i suoi limiti ma non si arrende mai. Arrivare dove vuole significa accettare man mano le precarie condizioni che determinano ogni volta dei risultati a volte non sperati a volte da rifiutare, inaccettabili per lui.

Per arrivare dove vuole ha scelto uno sport particolare non solo per quello che richiede fisicamente, emotivamente e psicologicamente: il velocismo, correre in velodromo, non è riconosciuto nella sua importanza, il ciclismo richiama una serie di meccanismi di business che avvicina  la lente d’ingrandimento su di sé.

Non esistono strutture idonee per allenarsi, addirittura impraticabili e chiuse con dei sigilli di sicurezza, quindi quando si ritrova a fare delle gare in strutture adatte, in varie parti di Europa, non ha avuto la possibilità di allenarsi correttamente, ma magari su tratti di strada il più sistemati possibili, oppure si deve accontentare di velodromi con vari difetti di pavimentazione, non proprio sicuri. E questo lo trattiene nell’osare durante la preparazione. “Osare” è una delle parole d’ordine per lui.

Non esitono tecnici sportivi specializzati in discipline veloci, sempre per le questioni di business. Purtroppo non si può vivere di questo sport in Italia, non può diventare una professione, almeno fino ad oggi.

Vladimiro, come già detto, non accetta i suoi limiti e riflettendo si è direzionato verso uno sport che già ne ha molti, come abbiamo ben capito:  per il mancato riconoscimento nazionale, per la mancanza di strutture, per la mancanza di supporto tecnico; credo che questo sia accaduto inconsciamente, ancora di più vuole sudarsi il raggiungimento del suo obiettivo.

 – Qual è il tuo obiettivo?

“Voglio raggiungere i 70 km/h  in  m 200 di lancio”.

Sono sicura che ce la farà, ne sono sicura perché tutto quello che mi ha raccontato, tutti i pro ed i contri sono legati da un collante: la passione. La passione crea la determinazione.

– Vlady qual è il tuo sogno nel cassetto?

“In questo momento mi piacerebbe essere notato, visto dalla nazionale e partecipare ad una rassegna internazionale con la maglia Italiana”.

– Cosa vuoi fare “da grande”?

“Mi piacerebbe diventare un preparatore atletico. Poter trasmettere la mia esperienza, ciò che so, quello che ho imparato, sperimentato. Vorrei poter diventare un motivatore ed incentivare chi è interessato a conoscere, attingere ed esprimere la sua forza, potenza fisica”.

– Se tornassi indietro e avessi la possibilità di incontrarti quand’eri più giovane, quali consigli ti daresti?

“Se potessi tornare indietro mi raggiungerei all’età dei quattordici anni, sarei chiaramente un ottimo consigliere per me stesso, poche persone conoscono quello che davvero va bene per te, sarei qualcuno che mi mostra una direzione più precisa per potermi esprimere al meglio, senza preferenze culturali o di massa, ma solo secondo la mia esigenza personale. Questo penso che si raggiunga con la maturità comunque. Probabilmente non avrei lasciato il calcio se avessi avuto il me stesso di oggi davanti a parlarmi, mi sarei consolato, rafforzato e non fatto condizionare tanto da escludermi. Credo anche che avrei conseguito all’università una facoltà inerente allo sport”.

– I tuoi genitori, i tuoi amici ti hanno sostenuto, lo fanno ancora?

“Assolutamente si, specialmente mio papà. Ha cercato sempre di darmi dei buoni consigli, mi ha sempre accompagnato e sostenuto, anche in questi anni è stato un valido compagno di incoraggiamento nelle trasferte;anche nelle preparazioni, negli allenamenti  per strada, mentre correvo per esercitarmi, in tratti poco trafficati, dove l’asfalto era perfetto, lui mi affiancava con l’auto,per monitorare la velocità ed anche per qualsiasi necessità. Raggiungere alte velocità senza sistema di frenaggio è molto pericoloso. So che papà crede, ha sempre creduto in me”.

Sì, è importante che qualcuno creda in te e che veda davvero il tuo potenziale, poi sta a te esprimerlo.

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