The Jump – Il salto di Simas Kudirka nella libertà durante la Guerra Fredda

Il più grande lockdown dei diritti umani e delle libertà del cittadino, quello comunista, fu scardinato anche grazie a storie come questa di Simas Kudirka, vicende private che assunsero dimensione pubblica e risonanza mediatica non indifferente. 

di Renato Aiello

Presentato venerdì 16 ottobre alla Festa del Cinema Roma, nella Casa del Cinema a Villa Borghese, The Jump – Il salto è un documentario di grande attualità, che può insegnarci tanto e raccontarci ancora molto sulla Guerra Fredda. Ed emozionarci soprattutto. Il film della regista Giedrė Žickytė, inserito in una serie di iniziative dell’Ambasciata della Repubblica di Lituania in Italia e del Lithuanian Film Center per promuovere il cinema lituano nel nostro Paese, non decolla subito, sebbene la dovizia di particolari e la narrazione dettagliata dell’evento cardine dell’intera storia, però affronta un tema universale e tocca corde sensibili: la perdita e la ricerca della libertà. 

Simas Kudirka era un marinaio lituano su una nave dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, marito e padre devoto ma soprattutto innamorato della vita, della voglia di conoscere, vedere il mondo, trasmessagli dal padre. Per chi nasceva o era già nato al di là della Cortina di Ferro – l’invisibile confine che a detta di Winston Churchill separava il mondo libero dalla tirannia comunista partendo “da Stettino sul Baltico fino a Trieste”-, la possibilità di muoversi liberamente, di trasferirsi, migrare non era contemplata. Simas lo sapeva bene al momento dell’incidente, ovvero durante l’incontro nelle acque dell’Atlantico di due navi, una americana e l’altra russa, nel giorno del Ringraziamento del 1970, al largo di Martha’s Vineyard. Kudirka, alla vista di quegli americani così amichevoli, così liberi, così diversi dai colleghi russi, decise di fare il salto del titolo, lo stesso che migliaia, forse milioni di persone fecero o tentarono di fare attraverso il filo spinato ungherese e oltre il muro di Berlino. Confini di terra qui sostituiti dal mare, da sempre sinonimo di infinite possibilità e di libertà all’orizzonte. La rocambolesca fuga è ricostruita dal concitato ed emozionato Simas, ormai anziano, sulla nave stessa e purtroppo per l’allora giovane uomo non si risolse positivamente. 

Alla breve esperienza nelle gelide acque nord atlantiche fece seguito quella nell’ancor più fredda Siberia dei Gulag, dove fu trasferito e condannato a 10 anni per alto tradimento: “Puro orrore”, denuncia nel film Kudirka, mentre indica sulla mappa dell’ex URSS il punto esatto della sua detenzione.

Tutto sembrava perduto ma, con la pressione dell’opinione pubblica statunitense, e soprattutto dopo le proteste e gli interventi di numerosi attivisti della comunità lituana d’America, uno spiraglio di luce si fece strada in questa storia incredibile, complice un inaspettato Deus ex Machina: la madre di Simas era nata negli Stati Uniti, cosa che rendeva di fatto anche Kudirka un cittadino americano a tutti gli effetti. Fu così che dopo 3 anni e mezzo di prigionia Simas riuscì a riabbracciare la sua famiglia e poté anche trasferirsi negli Stati Uniti, dove tuttora vivono i suoi figli.

Lui e la moglie fecero poi ritorno in Lituania, ormai libera dall’oppressione di Mosca: la terra dei suoi antenati, come la definisce in alcune scene di tuffo al lago. Simas attualmente vive ancora in Europa, vedovo ma pur sempre amante della vita e sempre sorridente: occhioni azzurri lucidi ogni volta che rivede in TV il film di finzione che gli dedicarono dopo la sua disavventura internazionale. “Una cosa tipicamente americana”, apostrofa così la sequenza del ricongiungimento con sua moglie raccontato in quella pellicola, pur senza mai trattenere una lacrima. Mentre si aggira per Times Square riconosce che quell’America nuova, moderna, non fa più per lui, seppur sempre bella e opulenta (“qui c’è un oceano di vestiti, di cibo” ripeteva al giornalista che gli chiedeva del campo di lavoro siberiano, “L’inferno di Dante” a suo dire).

Non bisogna fraintendere, Simas è uno di quei tantissimi immigrati che ha costruito l’America, anche coi lavori più umili: “come accade ora per i messicani”, spiega in una delle interviste per il documentario. Lui amava e ha amato così tanto la libertà da sceglierne il paese modello, campione dei diritti in quel mondo bipolare, seppur non privo di contraddizioni. Il richiamo della foresta, della madrepatria però è stato così forte da spingerlo a tornare nel suo paese in tarda età, quella piccola repubblica che insieme alle altre due baltiche, Estonia e Lettonia, formò un’immensa catena umana lunga chilometri per staccarsi simbolicamente dall’impero sovietico.

Il più grande lockdown dei diritti umani e delle libertà del cittadino, quello comunista, fu scardinato anche grazie a tutte queste piccole storie, vicende private che assunsero dimensione pubblica e risonanza mediatica non indifferente.