Un articolo di opinione “buonista” e “radical chic”

di Marco Marchesini 

Ancor prima di insediarsi formalmente, il nuovo governo già aveva fatto intuire quali sarebbero stati i toni con cui avrebbe interagito con le istituzioni e con i propri cittadini (sia quelli dalla loro parte, sia quelli all’opposizione): toni alti, roboanti e spesso e volentieri anche strafottenti, che non guardano in faccia nessuno e non risparmiano nemmeno il Presidente della Repubblica. Grazie alla sua massiccia presenza sui giornali e nelle televisioni – più per colpa delle dichiarazioni che suscitano una facile polemica che per meriti di sorta – gli italiani si sono avvezzi al viso duro e deciso di Matteo Salvini, che per popolarità e coinvolgimento sembra un premier de facto che mette in ombra quello de iure, Giuseppe Conte, la cui figura sembra limitarsi a quella di semplice rappresentanza delle volontà congiunte gialloverdi. Ci siamo avvezzi anche alle dichiarazioni sempre scioccanti a cui ormai abbiamo fatto il callo e che nemmeno ci stupiscono più di tanto, trascinandoci in una pericolosa cecità indifferente che rende vulnerabili i nostri valori.

Ci sono certo degli attriti, ma il governo sembra godere di ottima salute, forte e coeso intorno al programma comune firmato e rispettato come un rigido codice di legge. Tuttavia pare esserci qualcosa di più profondo che lega le varie anime che tentano la convivenza all’interno dell’esecutivo. È qualcosa che si radica alla base della nascita di questa coalizione e che ritroviamo fin dentro al suo nome arbitrariamente affibbiatogli: questo è il governo del cambiamento, un governo diverso, che nasce e si sviluppa proprio in antitesi al governo precedente. Un governo nato dalle forze di opposizione che sono rimaste semplicemente opposizione e puntano a smontare provvedimenti e azioni del governo precedente, come se considerassero vitale abbattere ciò che c’è stato per assicurarsi un futuro.

Questa persistente opposizione non si manifesta solo nei fatti, nell’abbattere, appunto, l’operato del governo precedente, da cui si potranno ricavare (si spera) tutte le buone cose che si auspicano i leader. Sembra che questa tendenza naturale all’opposizione abbia coinvolto anche il mondo intellettuale, sociale e umanitario. I leader politici che sono al governo hanno tutti un’importantissima responsabilità, che non è solamente quella di guidare il paese verso maggior benessere e miglior stabilità, ma anche e soprattutto quella di guidare e rendere manifesti le volontà e le opinioni del popolo che rappresentano. E questo farsi portavoce del decadimento morale da parte di rappresentanti politici può gettarci in un pericoloso stato in cui dominano solo i sentimenti più forti e violenti, la cosiddetta pancia. Non ci si può semplicemente limitare a rappresentare gli umori del popolo senza riportarli ad una razionalità, senza dirigerli ponderatamente e sapientemente; non si possono legittimare comportamenti da bulli e decisioni prese di pancia semplicemente perché “è questo che il popolo vuole”; non si possono rimettere le decisioni della politica alla cieca volontà delle masse, deresponsabilizzandosi e delegando moralmente il proprio operato politico. Rischiamo di precipitare verso uno stato culturale dove chi invita al ragionamento, alla pacatezza, alla considerazione di tutti quei fattori che ogni volta compongono realtà diversissime e complessissime, vengono derisi, esclusi, etichettati con titoli screditanti che li escludono da quel gruppo che invece in questo momento storico domina. Ogni giudizio è un tassello in più che si aggiunge al processo di differenziazione tra un noi e un loro, dove chi crede di capire veramente i fatti – spesso semplificandoli in maniera ridicola – trae la sua forza dalle critiche, che invece di costituire un punto debole, vengono considerate sintomo di qualità, secondo l’assurdo ragionamento per cui più ne ricevi, meglio stai agendo. La derisione e la demonizzazione non risparmia nemmeno gli altruisti e chi cerca di riportare un po’ di sensibilità in un mondo che sembra averla persa. Se abbiamo perduto la nostra capacità di sorprenderci e di reagire difronte a ciò che consideriamo ingiusto, se indignandoci rischiamo di essere esclusi socialmente e politicamente, se l’altruismo è diventato un valore negativo, se l’atteggiamento semplicistico che riduce tutto a una cosa da poco, se tutti questi atteggiamenti vengono rappresentati e legittimati dalle istituzioni, la miseria culturale italiana conoscerà un altro miserevole capitolo. 

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