Sapevamo sarebbe accaduto prima o poi, data anche l’età avanzata, ma la dipartita del compositore capitolino a 91 anni lascia sgomenti l’Italia e il mondo intero.

Durante uno degli incontri della Festa del Cinema di Roma, edizione 2010, un emozionato Ennio Morricone svelò in sala all’Auditorium Parco della Musica un piccolo aneddoto, uno dei tanti della sua lunghissima carriera, legato alla collaborazione con Elio Petri. Raccontò praticamente di come dopo un confronto lungo e forse puntiglioso avuto col regista di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, Petri sbottò con un memorabile appunto al compositore: “A Morricò, e mò c’hai rotto”.
Di sicuro in questo lunedì di luglio ci ha spezzato il cuore la notizia della sua scomparsa a 91 anni, improvvisa, inaspettata, avvenuta in un anno già particolarmente funesto di suo (come ogni bisesto, d’altronde).
Gli occhi dei conduttori TV e dei giornalisti oggi sono lucidi, le voci degli intervistati quasi spezzate dal dolore di una perdita incolmabile per l’Italia: una lacrima è scesa sulle guance di tutti, ammettiamolo. Morricone è stato senz’altro uno dei pilastri del cinema italiano insieme ai registi più famosi e ai nostri attori più amati (ricordati quest’anno per gli anniversari dei vari Fellini, Sordi, Gassman).
Le sue musiche da Cinema (colonne sonore sarebbe un’etichetta riduttiva delle sue opere, e che non amava infatti) hanno fatto la Storia e sono entrate nella nostra mente per lasciare il segno, parte integrante del nostro bagaglio di ricordi e dell’immenso patrimonio musicale italiano. Impossibile non pensare alle partiture dei film di Sergio Leone, al cui proficuo sodalizio è legato addirittura il no detto a Kubrick, a malincuore, per Arancia Meccanica. Per un pugno di dollari, Il buono, Il Brutto e Il Cattivo, C’era una volta il West e C’era una volta in America non sarebbero stati gli stessi senza le sue note: il tema di Deborah, struggente voce del passato che emerge in ognuno di noi all’ascolto, è forse uno dei più famosi al mondo. Leone poi amava ascoltare le musiche scartate dagli altri registi con cui collaborava Morricone, e da molti di questi “scarti” sono nate le melodie da cinema più amate di sempre.
La nostalgia e l’essenza della Settima Arte abitano nel tema d’amore per Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore, altro cineasta con cui ha lavorato tantissimo, mentre addirittura lo studio della Controriforma e delle indicazioni teologiche del Concilio di Trento contribuì alla scrittura delle musiche di Mission, con quell’oboe suonato da Gabriel nel film di Roland Joffé e rimasto impresso nella memoria di tutti (anche grazie all’uso che per anni ne ha fatto la Chiesa Cattolica con gli spot dell’otto per mille). Sfiorò l’Oscar in quell’occasione, ci contava ma pensò che, non avendolo vinto allora, non l’avrebbe preso più. Si sbagliava, e infatti 20 anni più tardi l’Academy gli conferì l’Oscar alla carriera, sotto lo sguardo affettuoso di Clint Eastwood sul palco, traduttore per l’occasione, e solo 4 anni fa ne vinse uno classico, da vero competitor, in una cinquina che lo vedeva insieme a John Williams tra i candidati. The Hateful Eight di Quentin Tarantino fu il coronamento di un sogno per il regista italoamericano, da sempre ammiratore di Morricone (che paragonò a Beethoven, Wagner e Mozart in un discorso ai Golden Globe), nonché il giusto tributo al maestro italiano sempre candidato.
Per il film di Tarantino, ambientato in un claustrofobico e misterioso emporio tra le montagne innevate, si era ispirato al lavoro precedentemente fatto per La Cosa di Carpenter, cult horror degli anni ’80 con cui la pellicola di Tarantino aveva anche molti tratti in comune nella trama. Il regista delle Iene e di Pulp Fiction da anni attingeva allo straordinario repertorio di Morricone in film come Bastardi senza gloria (memorabile l’incipit affidato al Verdict che rielaborava l’attacco di Per Elisa di Beethoven in chiave western, e l’Allonsafan nel finale), in Django Unchained (per cui compose Ancora qui, canzone cantata poi da Elisa) e ovviamente in Kill Bill.
Dopo l’Oscar onorario qualcuno lanciò anche l’idea di farlo nominare senatore a vita per meriti artistici (forse fu Massimo D’Alema a ipotizzare la nomina, mai avvenuta poi, un vero peccato). Premi e riconoscimenti a parte, vinti o mancati, il lascito del Maestro romano supera qualsiasi lista di nomination agli Oscar o di David di Donatello e Nastri d’argento, e resta la ricchezza più grande che gli italiani possano vantare nel mondo. Ci mancherà, ovviamente, ma le sue musiche saranno sempre immortali.